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    I vincitori della Cerbai : Nicola Fantini, Cattolica Virtus

Un (doloroso) addio da vincente


È curioso che si definisca qualcuno una meteora in senso riduttivo: per guardare un meteorite, come ogni corpo celeste, occorre infatti alzare lo sguardo e guardare verso il cielo. E lassù non ci si arriva per caso. È vero che la stella di Nicola Fantini ha brillato per pochi anni, ma in quel periodo - a inizio anni Duemila - il tecnico di Cattolica Virtus e Olimpia Firenze ha risplenduto di luce propria in modo fulgido. A distanza di più di dieci anni dal suo addio al calcio giovanile, Fantini ricorda con sincera commozione quegli anni. Segue una chiacchierata che, perdonerete, contempla anche considerazioni di carattere personale da parte del sottoscritto.



Mister, sa che sono un po' arrabbiato con lei?


'Oddio, perché?'



Per spiegarle il motivo le faccio una confessione personale: se oggi il calcio giovanile è una parte importante della mia vita lo devo anche a lei. Le sono grato, perché quando ormai diversi anni fa iniziai a seguire le prime partite mi imbattei nella sua squadra, i classe '90 della Cattolica Virtus nello specifico. E quell'idea di calcio giovanile, quei principi di gioco lineari e fluidi, quelle partite spettacolari sul piano estetico e delle emozioni mi colpirono. Dissi - 'caspita, chi l'ha detto che ci si diverte solo con la serie A?' - che peraltro aveva già iniziato a stufarmi un po'. Poi però la sua improvvisa uscita di scena, e io in poco tempo ho perso il principale riferimento che mi aveva fatto innamorare di questo mondo. A distanza di una quindicina di anni, finalmente posso chiederle: cosa è successo?


'Sono sollevato, ora capisco il tono ironico e, mi creda, mi riempie di orgoglio e mi emoziona profondamente sentirle dire tutto ciò. Cos'è successo? Glielo spiego: sono sempre stato innamorato pazzo del calcio, di questo splendido sport che ho sempre praticato con passione, voglia e attenzione, tre qualità fondamentali per insegnare calcio ad alti livelli, quei livelli in cui volevo stare. Poi si sa, si può allenare in molti modi; nei ritagli di tempo ad esempio, in orario serale, due volte a settimana. Ma io volevo allenare seriamente, come ho avuto l'opportunità di fare in società del calibro di Cattolica e Olimpia. E a un certo punto gli impegni lavorativi hanno tolto spazio e tempo alla mia passione, che ho dovuto accantonare mio malgrado'.



Sono uno di quelli che pensa che il calcio sia la cosa più importante fra tutte quelle meno importanti. Intuendo che è stato un passaggio doloroso, esco subito dallo scherzo e le chiedo: quanto è stato difficile mettere da parte la sua passione?


'Estremamente difficile per uno come me che ha sempre avuto, fin da bambino, il calcio come unica passione. Seppur non sia arrivato ad alti livelli mi sono divertito tantissimo da giocatore e ho iniziato molto presto ad allenare. Qualche anno di pausa, poi ho ricominciato e ho trascorso pochi ma intensissimi anni alla Cattolica Virtus e all'Olimpia Firenze. Purtroppo mi sono dovuto fermare di nuovo, in modo definitivo, ed è stato uno dei più grossi sacrifici che ho fatto in vita mia: a distanza di anni se ripenso a quando allenavo, e mi capita di frequente, mi emoziono tantissimo'.



Qualcuno direbbe che è meglio qualche anno ad alti livelli rispetto a una vita nell'anonimato. Guardiamo al lato bello della medaglia: che ricordi piacevoli le ha lasciato il calcio?


'Il calcio ha rappresentato per me una delle esperienze che mi ha segnato maggiormente, mi ha lasciato tanti bei ricordi. Non sta a me parlare dei risultati che ho raggiunto, personalmente l'emozione più bella arriva ogni volta che incontro per strada un mio ex giocatore, che nel frattempo è diventato un uomo, che mi abbraccia e mi confessa di conservare ancora un ricordo positivo di me. Ecco, penso questo: non c'è soddisfazione più bella di quando a distanza di anni tocchi ancora con mano l'affetto che deriva da un qualcosa che hai dato e che hai ricevuto in cambio'.



Dei risultati però dobbiamo parlare, perché in quei pochi anni in cui ha allenato ha avuto modo di centrarne in abbondanza. A livello di vittorie però, sbaglio nel ritenere la Cerbai vinta con i Giovanissimi B classe '94 della Cattolica Virtus come la più bella?


'No, è verissimo: che gran squadra era quella. Bastava iniziare a leggere la formazione per capirlo'.



Il portiere infatti era un certo Alessio Cragno. Già all'epoca un predestinato?


'Senza ombra di dubbio. Non appena lo vidi capii di avere davanti un potenziale campione. Ricordo che aveva tredici anni quando gli dissi che se avesse continuato così un giorno il calcio gli avrebbe assicurato una vita da protagonista assoluto. Ogni volta che ho modo di risentirlo telefonicamente è sempre una splendida emozione'.



La sua Cattolica partì con grandi aspettative e chiuse al secondo posto il campionato, alle spalle della Sestese ma conquistando l'accesso alla coppa Cerbai. Da lì in poi fu un'autentica cavalcata; se la ricorda?


'Non potrebbe essere diversamente. E proprio la voglia di rivalsa dopo il secondo posto in campionato ci fece affrontare quel torneo con il gas aperto e le motivazioni al massimo. Il primo turno di coppa fu il triangolare con i grossetani del Sauro e il Margine Coperta, che aveva i favori del pronostico perché era a sua volta uno squadrone. Infatti fu con loro che ci giocammo il passaggio del turno e grazie a una prestazione perfetta avemmo la meglio. Nel turno successivo ecco un altro avversario di lusso come il Tau, e ad Altopascio fu un'altra gara perfetta: 0-4 per noi, gara chiusa già il primo tempo sul triplo vantaggio. Vincemmo anche il match di ritorno, 3-2 a Soffiano, e la testa era già proiettata verso la finale. Indovinate un po', proprio contro la Sestese'.



Una cosa è certa: il calcio sa come scrivere sceneggiature imprevedibili.


'Il primo ricordo di quella finale è il caldo pazzesco e l'arbitro che ci propose di iniziare con un'ora di ritardo per far rinfrescare un po' l'aria. Riuscii a tenere la squadra sulla corda nella lunga attesa, poi andò in scena una partita che, come spesso accade alle finali, non fu bellissima ma sicuramente tirata e intensa. Zero a zero e poi i rigori: dal dischetto probabilmente fu premiata la nostra voglia di vincere in un'annata in cui desideravamo arrivare primi anche in campionato. Alessio Cragno parò due rigori, poi mi ricordo di Sassi che realizza il penalty decisivo e corre verso di me con i compagni per abbracciarci tutti insieme. Beh, sono momenti indimenticabili, anche perché sapevo che quella era la mia ultima gara con quella squadra: la stagione successiva sarei passato all'Olimpia Firenze'.



A Campo di Marte dove conquistò, per la prima storica volta dei gialloneri, il primo posto in campionato con i Giovanissimi B '95. Ma questa è un'altra storia e vorrei invece chiederle questo: in quegli anni si contraddistinse per un calcio propositivo, lineare e fluido. Qual è la sua idea di calcio, quella che applicava all'epoca?


'Il calcio è un gioco semplice per persone intelligenti e sono sempre stato un fautore del bel gioco. Ai miei ragazzi ho sempre chiesto il più possibile di far circolare il pallone a terra e in maniera rapida, pochi tocchi e tanta fluidità, un gioco che si sviluppa nel corto evitando di abusare dei lanci lunghi, fin dalla difesa. Già all'epoca mi piaceva che il portiere avviasse l'azione senza necessariamente rinviare in profondità. Per rendere concreto tutto questo occorre avere del buon materiale a disposizione, calciatori con dei principi di tecnica individuale elevati, ma con calma e pazienza, dando tempo al lavoro, i risultati che si raggiungono ripagano in pieno'.



Quando poi arrivò qualche anno più tardi, si sarà innamorato di Guardiola.


'In realtà sono convinto che il calcio sia bello anche quando è pratico e concreto. In tal senso, ritengo che il top sia Massimiliano Allegri. La penso come lui sulla tecnica, che ancor più della tattica rende possibile la realizzazione di un gioco non solo bello ma anche incisivo. Restando a livello giovanile, sono sempre stato convinto che non sia lecito cercare la vittoria a ogni costo, ma provare a ottenerla tramite dei principi di gioco che lasciano un insegnamento e sono utili in prospettiva futura'.



In quegli anni, a inizio Duemila, si classificò ai primi posti anche in una particolare classifica, quella dell'eleganza in panchina. Lei, Russo, Ferradini e qualche altro sempre impeccabili a bordo campo.


'Ho sempre tenuto a vestirmi bene, è così nella mia vita e nel lavoro; oggi in panchina la tuta è quasi obbligatoria, all'epoca probabilmente c'era un po' più di libertà in questo senso'.



In conclusione, dopo quel suo addio al calcio giovanile, è più tornato a seguire qualche partita?


'In pochissime occasioni. Non che non mi piaccia, anzi: un big-match alla Cattolica, per esempio, è sempre garanzia di spettacolo. Ma soffro troppo sulle tribune, vorrei essere lì in panchina, vorrei aver potuto continuare. E allora preferisco non andarci proprio al campo'.
Lorenzo Martinelli Calciopiù