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    La storia della Zenith Audax, 4 scudetti in bacheca

Il grande affresco bluamaranto, dalla fondazione a oggi attraverso quattro titoli nazionali, le fusioni e un presente da guida del movimento pratese


Può sembrare la Brescello di Guareschi, e invece è Prato. Ma potrebbe essere anche un luogo qualsiasi dello Stivale, tanto è radicato nel profondo del nostro dna il dualismo che lo scrittore sublimò in Don Camillo e l'Onorevole Peppone. La chiesa e la casa del popolo: l'alfa e l'omega delle nostre radici, quelle di buona parte dell'Italia. Come disse un pittore fiorentino, per disegnare un paese della Toscana bastano tre pennellate: una piazza, un campanile, l'insegna di un circolo ricreativo.


Anche la rocambolesca e appassionante storia della Zenith affonda le fondamenta in questo contesto e prende le mosse da quel periodo, il Dopoguerra, che ormai abbiamo capito essere quello in cui fu costruita letteralmente l'identità del nostro paese. Ora che i luoghi simbolo di quell'epoca - le chiese, le case del popolo i circoli e i luoghi di aggregazione - sono simulacri vuoti che stavamo già svuotando prima di un anno fa, ora che quello spirito della ricostruzione viene proposto come ricetta da prendere a modello e ripetere nel post-pandemia (non appena capiremo quando inizia), appare chiaro che negli anni immediatamente successivi alla conclusione del secondo conflitto mondiale l'Italia si rimboccò le maniche e costruì materialmente il suo futuro che è in larghissima parte il nostro presente. Con esso l'Italia costruì anche il suo sistema calcio: sono tante e non a caso anche le più gloriose le società sportive nate in quel periodo di irripetibile slancio operoso che fu il secondo dopoguerra.


E la Zenith non solo si guarda bene dal fare eccezione, ma ha una storia che è quasi paradigmatica di quello che è successo quasi ottant'anni fa.


Le macerie diventarono pietre di costruzione, per dirla con le parole di Roberto Bellandi, la nostra guida in questo breve viaggio nella storia pluridecennale della Zenith, un percorso lineare ma movimentato, caratterizzato da sane quanto acerrime rivalità che poi si trasformano nella forza propulsiva di un progetto comune, dopo varie fusioni che conducono alla fisionomia attuale dei bluamaranto. Attorno agli anni Settanta Bellandi è stato presidente della Zenith e quest'ultima è stata la sua compagna di viaggio di una vita. I suoi ricordi affondano in una gioventù che è anche quella della primissima versione dell'attuale Zenith Audax; abbiamo detto che gli elementi paradigmatici sono presenti in abbondanza e uno coincide con la nascita del primo nucleo societario attorno a una casa del popolo, il Circolo Giuseppe Rossi nello specifico.


È un luogo che come pochi altri ha contribuito alla costruzione di un'identità della comunità pratese negli anni Cinquanta, chissà quanti delle nuove generazioni sono il frutto di un incontro dei propri nonni avvenuto qualche decennio fa, tra quelle mura. Dopotutto al circolo Rossi si parla e si fa politica dal basso, c'è la sede del Partito Comunista, ma soprattutto si socializza si balla e ci si diverte, anche perché qui passano pure diversi pezzi da novanta della musica italiana del Novecento come Lucio Dalla.


Ma al circolo Rossi in quegli anni si fanno anche tante altre cose, incluso coltivare la passione per il calcio che, nel Dopoguerra, trascende la dimensione meramente sportiva e diventa quello che è ancora oggi (ne siamo però sicuri?): un rito collettivo, un fattore che unisce e aggrega in maniera formidabile, dopo gli anni delle divisioni, della rovina lasciata dietro di sé dalla guerra, il pallone agisce come un cemento a presa rapida fra la persone, desiderose di concedersi un po' di tempo libero. Non si è più nemici se non in un campo da calcio ma dentro una cornice di regole e fino al triplice fischio, poi di nuovo tutti insieme: per chi ancora non lo avesse capito, quando si dice che il calcio alle nostre latitudini è più di un gioco con i piedi, ci riferiamo anche a questo. Nei primi anni Cinquanta in via Frascati, al circolo Rossi, si ritrova quotidianamente un gruppo di persone di tutte le età, dai più giovani come Roberto Bellandi - 'sono sempre stato il più piccolo della compagnia' - ai più grandi, come Mario Dini che è un nome che ricorre quando si cercano testimonianze sulla nascita della Zenith, avvenuta ufficialmente nel 1948. Doni, Frilli, Giovannelli: alcuni dei nomi di coloro che tennero a battesimo il primissimo nucleo della storia blu amaranto.


Sul fronte calcistico a Prato c'è ovviamente il Prato, che esiste dai primi anni del secolo scorso, ma poi ci sono altre realtà, più o meno numerose e più o meno organizzate, e altre che di lì a poco nasceranno. Ecco, a proposito di organizzazione, nel rievocare il calcio dilettantistico del Dopoguerra occorre calibrare la nostra immaginazione su parametri molto meno rigidi rispetto agli standard attuali. Ad esempio, i tesseramenti: formalmente si poteva giocare per una squadra del circolo e poi magari essere notato da qualche dirigente (perché no, anche dello stesso Prato) ed essere chiamato lì per qualche partita, per poi tornare in campo con gli amici del proprio circolo.


Anche perché la Figc è reduce dagli squassi dell'epoca precedente (e la Federazione si strutturerà con un settore giovanile e scolastico solo dal 1959) e al suo fianco tanta attività di base la svolge la Uisp. La Zenith aderisce inizialmente proprio ai campionati Uisp ma già nel pieno degli anni Cinquanta si sposta nell'orbita della Figc, che organizza i primissimi tornei per le categorie identificabili oggi con i criteri degli Allievi e degli Juniores. E le società sportive nascono quasi sempre attorno a dei circoli o delle parrocchie; man mano che l'apparato burocratico prende corpo si formalizzano anch'esse ma lo spirito originario, quello dei pionieri, delle origini del calcio dilettantistico, ricerca soprattutto l'aggregazione pur concedendo ampio spazio al campanilismo, prerogativa scritta nei nostri geni da sempre.


Nato nel 1940, Roberto Bellandi è un ragazzino quando la Zenith nasce e inizia a giocare le sue prime partite; è il più giovane di tutti come ha ricordato lui stesso ma si sa, il calcio a volte è un pretesto e non gli sembra vero entrare nel giro dei ragazzi più grandi e riceverne di tanto in tanto la chiamata per qualche partita. Gli avversari? Nomi di squadra che affondano nel mito, come l'Olimpia e soprattutto la Gioventù Nuova nella zona di piazza Mercatale; proprio sulla panchina di quest'ultima inizia a muovere i primi passi da allenatore Bruno Chiavacci, che ha un bel successo tanto che i giovani migliori della zona finiscono prima o poi con il ricevere una sua chiamata (non starete pensando al telefono, vero?). Chiavacci è una figura chiave della Zenith: è intitolato a lui il campo di via del Purgatorio dove giocano oggi le formazioni blu amaranto, un terreno di gioco che sorge nella stessa zona dove la storia della Zenith ha inizio. Sono i dintorni dell'odierna via di Gello, all'epoca un piccolo borgo di case conosciuto semplicemente come Gello e solo in seguito inglobate dall'espansione urbanistica; abitano lì i ragazzi e gli uomini del posto che si ritrovano al circolo Rossi.


La comune passione politica ma anche la comune passione calcistica porta alla formazione di una squadra che disputa i vari tornei della zona e poi si aggrega a quelli Uisp. Un brevissimo inciso a proposito di tornei, uno particolarmente sentito era quello che si teneva ogni anno a Fiesole, esteso a squadre anche fuori provincia. La Zenith come detto passa presto alla Figc, una delle primissime ad aderire alla sezione locale di Prato, e sogna un campo in proprio; nel frattempo fa come la maggior parte delle squadre dell'epoca, si sposta su vari rettangoli di gioco: ce n'è ad esempio uno in via Roncioni, uno a Galciana, a Coiano, a Tobbiana, si gioca anche nelle parrocchie, la più attiva è quella di San Domenico.


La Zenith ha il suo baricentro storico stabilmente nella zona dell'ex Ippodromo, l'attuale Parco della Liberazione e Pace; e capitava spesso di giocare proprio all'Ippodromo come ricorda Bellandi - 'ci spogliavamo nei locali dell'ippodromo, che nel frattempo aveva perso la sua capacità di richiamare le persone per seguire le corse di ippica. La doccia era una semplice fontanella che originariamente aveva altri scopi'. La Zenith deve attendere i decenni successivi per avere un proprio campo, quello di via del Purgatorio che, curiosamente, vede costruite prime le tribune e solo in un secondo momento il vero e proprio campo da gioco.


È come detto l'attuale campo della Zenith Audax, intitolato alla memoria di Bruno Chiavacci sul conto del quale occorre riprendere fra parentesi il filo narrativo interrotto in precedenza. Chiavacci allena alla blasonata Gioventù Nuova che poi lascia; frequenta infatti anche il circolo Rossi e, con l'amico Degl'Innocenti, alimenta il fuoco iniziale della Zenith diventandone allenatore per moltissimi anni a venire. Fra i tanti padri fondatori della Zenith, Chiavacci è uno dei più rappresentativi, al pari di Gianfranco Guarducci: entrambi hanno incarnato al meglio lo spirito originario della società negli anni seguenti.
Riprendendo la storia, la Zenith si fa in fretta un nome che inizia a circolare anche al di fuori dei confini più prossimi. Il periodo delle origini è anche un periodo d'oro perché nell'arco di un decennio a cavallo fra i Cinquanta e i Sessanta la Zenith vince ben quattro titoli italiani: nelle stagioni 1957-'58 e 1965-'66 si laureano campioni gli Allievi, nelle primavere del 1961 e del 1964 tocca invece agli Juniores. Le finali si giocano in città che entrano negli annali della società pratese, come Pisa e Livorno dove i primi due tricolori diventano realtà, o Modena. Roberto Bellandi è un po' cresciuto ma è sempre un ragazzo quando, entrata negli anni '60, la Zenith vive un vero e proprio exploit sotto il profilo organizzativo e societario.


Uno degli animatori di quel periodo è Carlo Vannucci, che eredita il testimone di Doni, uno dei fondatori, e accompagna per mano la società verso una sempre migliore strutturazione interna. Anche perché nel frattempo la Zenith ha visto indossata la propria maglia da calciatori che si sono fatti un nome, un nome che resiste alla prova più dura, quella del tempo, nomi che ancora oggi hanno un forte richiamo sulla memoria. Ad esempio quello di Roberto Vieri, il papà di Christian, o quello di Mario Bertini. Quest'ultimo è probabilmente uno dei simboli più fulgidi della hall of fame della Zenith, giustamente celebrato in sede da una foto che lo ritrae in contrasto con Pelè. Già, perché Mario Bertini era partito da Prato e dal Prato ma era passato anche dalla Zenith prima di decollare verso Fiorentina e Inter, con le quali collezionerà oltre trecento presenze in prima squadra.


Fino alla Nazionale, fino a Pelè, fino ai mitologici Mondiali di Messico 70. La maglia della Zenith però la indossò più a lungo il fratello di Bertini, Bruno. Anch'egli è arrivato a calcare i palcoscenici dei professionisti, seppur ad altitudini più basse rispetto a Mario; di lui Bellandi, quasi suo coetaneo, ricorda tanti aneddoti, incluso uno particolarmente gustoso in cui Bruno Bertini, che stava per giocare all'Ippodromo con la Zenith, salì in corsa su un'automobile per andare a giocare una gara con il Prato. Tutto con in sottofondo il romantico spirito di quei tempi. Nella Zenith delle origini sono passati poi tanti altri calciatori che hanno spiccato il volo, come i fratelli Fantozzi o Gianni Cristiani.


Ma intanto l'orologio del tempo corre in avanti e gli anni Settanta sono quelli della presidenza di Roberto Bellandi, che subentra a Nocentini, un altro dei volti storici della Zenith che inizia ormai ad avere le spalle una buona fetta di anni e di stagioni sportive. La società è sempre in prima fila ad aderire ai nuovi campionati istituiti dalla Figc ma ormai, tutto intorno, la concorrenza inizia a chiedere strada. Negli anni Ottanta la scena calcistica di Prato è ormai affollata, competitiva e ricca di sfide dal sapore nostalgicamente epico: il Maliseti e l'Ambrosiana danno vita a partite sentitissime, va da sé poi che proprio fra l'Ambrosiana e la Zenith si sia nuovamente in presenza di quell'alfa e omega con cui abbiamo aperto l'articolo.


Di nuovo Don Camillo e l'Onorevole Peppone, di nuovo il diavolo e l'acquasanta, al di là della connotazione di valori è sempre un discorso di altezza del proprio campanile. E poi, senza spostarsi fuori dai confini comunali, dove troveremo vicinissime realtà ormai consolidate come la Sestese, nel comprensorio cittadino le glorie e le fortune sportive se le spartiscono le società già citate e anche altre come la Roberto Colzi del compianto Ferdinando Pampaloni, un altro personaggio chiave del calcio pratese, passato poi al Coiano che traghetterà assieme a Rodolfo Becheri verso la fusione con il Santa Lucia: un altro nome che è nella storia calcistica locale, altri nomi di società che scalpitano e chiedono spazio a fianco della Zenith. 'Per un po' di anni era il Maliseti a primeggiare, poi toccava all'Ambrosiana, poi alla Roberto Colzi, e così via; la concorrenza era aumentata tantissimo nel frattempo, e i campionati regionali alzarono la posta in palio' ricorda Bellandi.


Un proverbio africano recita invece: se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai con qualcuno. È per questo che mentre le lancette dell'orologio iniziano a scorrere sempre più veloce man mano che si entra nell'imbuto del Duemila che accelera tutta la società mondiale, la Zenith intuisce la necessità di dover unire le forze per restare un punto di riferimento del comprensorio pratese, e non solo. Nel 1995 nasce la Polisportiva Zenith Superga, risultante della fusione fra la Zenith e l'A.C. Superga. È sotto la presidenza dell'avvocato Fabio Raniere che la Zenith muta pelle trovando la giusta continuità all'interno di un percorso di cambiamento capace di plasmare fisionomie inattese, celebrando matrimoni che solo in apparenza sembravano impossibili.


È il caso esemplare di quanto avviene nel 2005, quando la Zenith Superga fonde nuovamente le proprie energie, stavolta con quelle dell'Ambrosiana. Di nuovo la casa del popolo e la chiesa, di nuovo Don Camillo e Peppone, stavolta a braccetto. Sono anni diversi, decisamente differenti rispetto a cinquant'anni prima quelli del nuovo millennio. La Zenith Superga Ambrosiana prosegue la tradizione ad alti livelli del suo settore giovanile, che perde leggermente quota attorno al 2010. Serve nuova benzina per proseguire il viaggio e a contribuire al rifornimento ad alta quota è ancora una volta una fusione, quella che avviene con l'Audax 1972 di Carmine Valentini ed Enrico Cammelli. Con l'arrivo dell'attuale presidente e del suo vice la Zenith Audax va incontro al suo periodo storico migliore, quello che arriva fino ai giorni presenti. La prima squadra si smarca dalle categorie più basse e sale fino all'Eccellenza, il settore giovanile viaggia sulla stessa velocità: l'élite negli Allievi e nei Giovanissimi, un rendimento sempre al top delle classifiche per gli Juniores regionali. Arriva finalmente la continuità, che è il tratto distintivo degli ultimi anni ed è destinato a esserlo per molti anni a venire.


Ne è passata di acqua nel Bisenzio dagli inizi della storia blu amaranto, ma non è quella che ha diluito i confini che hanno reso possibili unioni come quelle di cui abbiamo parlato. Pur attraverso tanti mutamenti di pelle, la Zenith Audax è la sintesi di punti di vista all'apparenza inconciliabili, che smettono di esserlo nel momento in cui il pallone inizia a rotolare.



Lorenzo Martinelli Calciopiù